Il ruolo della dissonanza cognitiva nella sindrome da abuso narcisistico e gli investimenti della vittima per salvaguardare il “rapporto”

Fonte: https://narcissisticbehavior.net/the-place-of-cognitive-dissonance-in-narcissistic-victim-syndrome/
Autore: Christine Louis de Canonville, psicoterapeuta con oltre 25 anni esperienza clinica in disturbi mentali e Disturbo Post Traumatico da Stress nelle vittime di narcisismo patologico. Opere: The 3 Faces of Evil – Unmasking The Full Spectrum of Narcissistic Abuse (Ed. Black Card Books) e When shame begets shame: how narcissists hurt and shame their victims, disponibile su https://gumroad.com/l/OocSF
Trad. C. Lemes Dias

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La sindrome di Stoccolma spinge paradossalmente la vittima di abuso narcisistico a cercare di formare una relazione positiva con il suo maltrattante; è ciò che chiamiamo “legame traumatico”. Quando le vittime sono affette da sindrome di Stoccolma, spesso vengono viste dagli estranei come se avessero contribuito in modo bizzarro alla prosecuzione dell’abuso. Tuttavia, per capire come avviene questo legame traumatico, è particolarmente rilevante capire come il processo decisionale e di problem-solving della vittima vengono completamente stravolti. Affrontiamo la teoria della “dissonanza cognitiva”.

Quando i terapisti vogliono veramente capire il comportamento delle vittime di abuso narcisistico comprendono che è di fondamentale importanza tener presente le due condizioni malsane in cui versa quando si presenta in terapia: è affetta da sindrome di Stoccolma e annebbiata dalla dissonanza cognitiva, essendo entrambe le condizioni parti integranti della sua strategia di sopravvivenza. Avendo messo in atto questo schema, la vittima crede fermamente che la sua relazione non solo è accettabile, ma anche vitale per la propria sopravvivenza. Diventa così invischiata nella relazione con l’abusante, da sentire che il suo mondo (mentalmente ed emotivamente) cadrebbe a pezzi se il rapporto finisse. Questo spiega perché teme ed evita tutte le persone che tentano di liberarla dal suo maltrattante, e come tali consigli finiscano per indurla ad aumentare la dissonanza cognitiva e diventare ancora più protettiva nei confronti della persona che la maltratta.

COS’È LA DISSONANZA COGNITIVA?

La dissonanza cognitiva è un termine psicologico che descrive la tensione spiacevole derivata da due pensieri in conflitto contemporaneamente, oppure dell’impegno messo per portare avanti un tipo di comportamento in netto contrasto con le proprie convinzioni. La Dissonanza Cognitiva è una teoria della comunicazione pubblicata da Leon Festinger nel 1957, che ha cambiato il modo in cui la psicologia sociale studia il processo decisionale e il comportamento umano. Il concetto di dissonanza cognitiva è quasi auto-esplicativo attraverso il suo titolo: “cognitivo” ha a che fare con il pensiero (o la mente); mentre “dissonanza” riguarda le incoerenze o i conflitti. In parole semplici, la dissonanza cognitiva è il disagio che una persona sperimenta ogni volta che due idee contrastanti l’assalgono simultaneamente (Ad esempio: Indosso il vestito rosso o blu?). Naturalmente, alle persone è spiacevole provare dei pensieri contrastanti. Cosa propone questa teoria? Afferma che quando questo accade abbiamo una spinta motivazionale interna atta a permetterci di razionalizzare e cambiare il nostro atteggiamento, le nostre credenze, valori e azioni, ovvero, usiamo qualsiasi mezzo a nostra disposizione per ridurre o dissolvere la dissonanza che stiamo provando (Ad esempio: Indosso questo perché mi rende il sedere meno appariscente.). Quando parliamo di vittime di abuso narcisistico possiamo elencare diversi comportamenti di cui fanno leva per ridurre la dissonanza cognitiva. Tanto per cominciare, potrebbero provare a ignorarla o eliminarla, cercare di non dare troppa importanza al fenomeno, creare addirittura nuove cognizioni ma, soprattutto, la prima cosa che faranno è cercare di impedire che accada.

CHE RUOLO HA LA DISSONANZA COGNITIVA NELLE VITTIME Di ABUSO NARCISISTICO?

Le vittime provenienti da famiglie in cui vi sono abusi narcisistici vivono una realtà da campo di battaglia emotivo: avvertono puntate su di sé tutte le arme del potere e del controllo (intimidazione, abuso emotivo, fisico e mentale, isolamento, abuso economico, abuso sessuale, coercizione, ecc.). La minaccia dell’abuso è sempre presente e di solito diventa più violenta e frequente col passare del tempo. L’ambiente narcisistico dominante mette la vittima in una situazione di dipendenza in cui sperimenta una forma estrema di impotenza che la getta nel panico e nel caos. Il/la narcisista crea una forma perversa di relazionarsi in cui la vittima non ha idea di cosa accadrà successivamente (lo fa alternando atti di gentilezza con rabbia aggressiva). Questa situazione prolungata e tortuosa rischia di innescare nella vittima vecchi copioni interni negativi che riguardano le sue relazioni primarie (attaccamento, separazione e individuazione). Per sopravvivere al conflitto interno la vittima dovrà fare appello a tutte le risorse e meccanismi di difesa adatti a gestire le sue ansie più primitive, come quelle di persecuzione e annientamento, di modo che cercherà di ridurre la dissonanza cognitiva con delle strategie che possono includere: a) giustificare le cose mentendo a se stessa, se necessario; b) tornare agli schemi infantili e c) legare ancor di più con il maltrattante narcisista. La maggior parte dei meccanismi di difesa avviene piuttosto inconsciamente, quindi la vittima non è consapevole di adoperarli; il suo intento è unicamente quello di sopravvivere alla follia in cui si trova.

Come potete immaginare, questo stato d’animo porta una persona a sviluppare un numero incalcolabile di conflitti interiori in cui i suoi svariati meccanismi di difesa vengono energicamente sollecitati, essendo nel pieno della dissonanza cognitiva. Per esempio, una donna che viene maltrattata dal marito narcisista odierà la sua condizione. Tuttavia, quando c’è il reale timore di una rappresaglia violenta da parte del maltrattante – nel caso in cui abbia cercato di andarsene – molto probabilmente “sceglierà” di restare. La dissonanza cognitiva si manifesta attraverso la seguente razionalizzazione: da una parte la donna odia la sua relazione malsana e tutti gli abusi che ne derivano; d’altra, però, cerca di convincere se stessa di essere trattata così perché è il “modo di amare” del marito, che in fondo “ci tiene” al rapporto. Questo dialogo interiore riduce la sua ansia, permettendole di legare (Sindrome di Stoccolma) con il maltrattante, al punto che potrà persino proteggerlo dal mondo esterno nel caso in cui le persone cerchino di salvarla o di incoraggiarla ad andarsene. Risultato: tra il sé emotivo e il sé razionale di una persona ne deriva un enorme e logorante conflitto. La “dissonanza cognitiva” è un segno dello squilibrio che la vittima sta vivendo come risultato di due idee contrastanti; lei sa che dovrebbe uscire dalla situazione abusiva, ma sa altrettanto che farlo potrebbe metterla in grave pericolo (e forse anche i figli). Durante l’esperienza della dissonanza cognitiva può, quindi, adottare uno schema di negazione, diversione e difesa per controllare il proprio disagio. Secondo la teoria della dissonanza cognitiva la decisione che prenderà sulla migliore strada da percorrere sarà probabilmente quella meno stressante a livello emotivo. Al fine di ridurre la dissonanza, ella sceglierà il percorso meno tortuoso e la sua spinta motivazionale la sosterrà nelle proprie convinzioni, giustificando ogni decisione la aiuti a stare al sicuro. Come potete immaginare, la dissonanza cognitiva può portare a decisioni irrazionali mentre la persona lotta per riconciliare queste due credenze contrastanti. I ricercatori suggeriscono che, in realtà, è la dissonanza cognitiva a far sì che le vittime scelgano di restare con il loro aggressore. Inoltre, al fine di sostenere la decisione apparentemente irrazionale di rimanere nel rapporto abusivo, la vittima fa pesanti investimenti atti a consolidare per sempre la cattiva relazione.

Ci sono sei tipi di investimenti che mantengono la vittima invischiata, e che la aiutano a ridurre la dissonanza cognitiva:

L’INVESTIMENTO EMOTIVO

Incapace di uscire dalla relazione a causa del timore su cosa accadrà il giorno dopo, la vittima decide che dovrà rimanere fino alla fine, auto convincendosi che “le cose non sono poi così male”, specialmente quando l’aggressore narcisista mostra il suo lato gentile. Il legame traumatico viene, quindi, interpretato come “amore”. Questa idea di amore viene sfruttata per provare compassione per il narcisista; può persino scusarlo, convinta che ha sofferto e provato talmente tanto dolore durante l’infanzia che non può fare niente di meglio. Si convincono, le vittime, che amando il loro aggressore riusciranno a guarire le sue ferite, e che tutto andrà bene. Continuano così ad investire un enorme quantità di emozioni nella relazione. Versano fiumi di lacrime, incolpano se stesse per aver turbato il maltrattante e diventano le uniche responsabili delle sue azioni e comportamenti. Si preoccupano per il maltrattante quando fa del male a qualcuno o finisce in prigione e arrivano persino ad addossarsi la colpa per le sue esplosioni di rabbia (“Ho causato io il suo disagio, avrei dovuto sapere com’è fatto.“). Si spingono fino al punto di convincersi che il loro aggressore è vittima della società, e che debba essere protetto dalla cattiveria di tutti.

INVESTIMENTO SOCIALE

Il più grande investimento sociale che la vittima fa va verso la persona più vicina a lei, ovvero il “suo” narcisista. La grandiosità del narcisista esigerà che sia la figura più importante nella relazione e la vittima (nel tempo) si adeguerà a tale “accordo”. La società in generale poco fa concretamente per comprendere quale sia l’approccio corretto nei confronti delle vittime: difficilmente le persone capiscono come mai una persona resta in una relazione così abusiva, per non parlare sul perché a volte tende a proteggere il maltrattante. Questa situazione può rendere la vittima ancora più intimamente impotente, isolata e alienata. Sentendosi ferita nel suo orgoglio e nutrendo profondi sentimenti di vergogna, la vittima inizia ad evitare ulteriori imbarazzi sociali e situazioni di disagio, alienandosi ulteriormente con il maltrattante. Isolata, dipendente e sfiduciata, la strada è lastricata verso una maggiore accettazione dei maltrattamenti e la sua permanenza nella relazione. È totalmente rapita dal ciclo di abusi innescato dal suo maltrattante. Ciclo che coinvolge una sequenza di episodi violenti, seguita dall’assenza di violenza, dalla costruzione della tensione e, infine, dall’esplosione di un altro episodio violento in cui viene fisicamente aggredita. Gira in tondo, impotente, fino a perdere ogni speranza, accontentandosi di investire le sue energie, lealtà e fedeltà, proprio lì, nel rapporto abusivo.

INVESTIMENTO FAMILIARE

Chiariamoci subito: un narcisista cerca di fare investimenti unicamente su di sé, attendendosi dagli altri infinite coccole sul suo Falso Sé (purtroppo il Vero Sé è in uno stato di atrofia). Se si tratta di un coniuge narcisista, sarà il partner a investire pesantemente nel contrasto alle sue disonestà fino ad essere trascinato sulla bancarotta emotiva, mentale, fisica e spirituale.

Il narcisista sollecita continuamente lo specchiamento e l’adulazione estrema e quando non è così si ritira (si tratta di un ritiro rischioso per la vittima).

Passo dopo passo, la presunta vicinanza comincia a scomparire.

La vittima vive questa situazione come una grande perdita (e ha paura) mentre il narcisista, invece, avverte l’aumento del suo senso di potere e controllo. Nel suo stato di ritiro, egli comincia a perdere il senso di grandiosità, potere e onnipotenza che lo caratterizza, rendendosi suscettibile alla riapertura delle sue ferite narcisistiche. Quando c’è una ferita narcisistica, il mostro del terrore viene rilasciato e tutta la famiglia si vede costretta a subire la sua rabbia. Tutto ciò provoca molta ansia nel partner vittimizzato, che teme non solo per la propria sicurezza, ma anche per quella della prole. Il narcisista soffre di un modello evasivo cronico che non cambia nel tempo. Esattamente come esige tutto dal suo coniuge, egli sa essere molto esigente anche nei confronti dei suoi figli, (ricordate che tutto riguarda lui stesso!): i bambini sono visti come vere estensioni del sé, rappresentanti della sua persona ovunque vadano. Per questo motivo si aspetta che i propri figli collezionino grandi successi e che siano i migliori in tutto ciò che fanno. I figli di genitori narcisisti si trovano di fronte a un eterno dilemma; se ottengono il secondo miglior risultato in qualsiasi compito verranno percepiti come “buoni a perdere” dal genitore narcisista. Le medaglie d’argento non sono viste come una ragione per festeggiare, ma hanno più probabilità di essere percepite come una disgrazia (roba da perdente). Se, invece, i figli riescono ad eccellere, rischiano di innescare la gelosia e l’invidia del genitore narcisista; perché per lui/lei, l’invidia comporta sempre un confronto, ossia, invidiano ciò che in loro manca. Quando il bambino splende, il suo successo è sempre in qualche modo dovuto al narcisista stesso, ma quando fallisce, egli prende il fallimento del figlio molto sul personale (ferita narcisistica), punendo il bambino per mezzo di parole e azioni. Vivendo con un genitore narcisista, spesso il bambino trova difficile capire quali siano i suoi veri bisogni, il che può portare a gravi problemi emotivi nel suo intimo ancora non sviluppato. Poiché il genitore narcisista vuole essere trattato come un bambino, ci saranno lotte di potere per attrarre l’attenzione su di sé, sottraendola dalla prole. Tutte queste dinamiche metteranno a dura prova il partner del narcisista, che verrà probabilmente eletto a discarica di tutta la sua frustrazione e rabbia narcisistica, manifestata certe volte come odio puro. Investire tutto ciò che ha nel partner narcisista è l’unico modo in cui la vittima trova per evitare il totale sgretolamento della famiglia.

INVESTIMENTO FINANZIARIO

I narcisisti cercano in genere di controllare le finanze della famiglia. Il denaro è un sostituto dell’amore per loro. Non importa chi guadagna i soldi nella loro famiglia, sono loro che hanno il diritto di controllare come vengono spesi. Spesso la vittima si trova in difficoltà nella gestione della casa, e chi abusa monitora da vicino come ogni centesimo viene speso. Se manca del denaro, il narcisista sarà avaro per quanto riguarda la spesa familiare dei membri, eppure spenderà tutto ciò che serve per ottenere ciò che vuole. Dove possibile, i narcisisti creano una situazione finanziaria complessa in cui tutti dipendono da loro. Sentono di avere più controllo così. Senza mezzi finanziari e di solito isolati, molte vittime non sono a conoscenza delle risorse di supporto a cui hanno diritto, vedendosi intrappolate in una situazione ingestibile, come in attesa di “qualcosa”. Sperano nel miglioramento della situazione finanziaria per rendere più facile il distacco e la ricerca di una via di fuga. Nel frattempo, però, fanno quello che possono per rendere felice il loro aggressore.

Investimento nello stile di vita: quando il narcisista ha successo investe moltissimo nel suo stile di vita. Perché ha bisogno di mostrare la sua “particolarità” nel mondo, cercherà di far vedere agli altri tutti i trofei che rappresentano, in qualche modo, la ricchezza (nutrimento narcisistico): la grande casa, l’auto, la scuola privata, gli affari, ecc. Tutte queste cose contribuiscono ad ottenere la lode e l’adulazione che sentono di meritare. Il partner che condivide questa sicurezza finanziaria potrebbe temere di perdere il proprio stile di vita oppure che i figli vengano danneggiati dalle sue scelte. Quindi, potrebbe scegliere di restare a causa della paura della trappola della povertà, nel caso in cui decida di andarsene.

INVESTIMENTO INTIMO

Il narcisismo è un tratto della personalità associato a un concetto di sé gonfiato e grandioso e alla mancanza di intimità nelle relazioni interpersonali. Un narcisista si percepisce come unico e raro. L’intimità richiede due persone operanti sullo stesso livello di apertura e verità (che svelino il loro vero sé) in modo che si percepiscano come “uguali”. Il narcisista opera da un Falso Sé, cioè, l’idea di essere trattato alla pari da chiunque negherebbe la sua nozione di unicità. Ecco perché evita del tutto ogni forma di vera intimità.

L’intimità è un concetto totalmente sconosciuto per queste persone. È impossibile raggiungerla quando si è eternamente tenuti in ostaggio da conflitti irrisolti con i propri oggetti primari (i genitori). Come i bambini, i narcisisti nascondono le profonde ferite di un abbandono vissuto nel passato. Impauriti dalle proprie emozioni negative, inconsciamente, promettono mai più mettersi in una condizione di vulnerabilità. Lo fanno per evitare ulteriori ferite narcisistiche, poco importandosi se imboccando questa strada dovranno tenere a bada tutti, incluso il proprio partner e i figli. Sfortunatamente anche loro, come il resto di noi, sono sensibili alla solitudine, motivo per cui sono sempre alla ricerca di “nutrimento narcisistico” per godere dell’attenzione mancata in passato. Quando hanno un partner, separano il sessuale dall’emotività, trattandolo come un oggetto sessuale oppure un amico fraterno, e il tipico ciclo di frustrazione-aggressione viene messo in funzione. Sfortunatamente, innamorati del proprio riflesso, sono incapaci di amare chiunque.

Laddove il partner pensava di aver sposato il bel dottor Jekyll, ora si trova di fronte al furioso e pazzo Mr. Hyde. In una relazione così malsana, egli sperimenterà la distruzione della sua autostima emotiva e sessuale.

I narcisisti difficilmente possono essere genitori adeguati. Questo perché anziché amare i propri figli, aborriscono chiunque distolga l’attenzione da loro. I figli, quindi, sono limitati al ruolo di fonte di approvvigionamento narcisistico.

Dopodiché, usano ogni tipo di ricatto nell’intimità (minacciano di raccontare dettagli intimi sui loro partner che potrebbero umiliare e distruggere l’immagine dell’altro), costringendolo a perdere ogni speranza a causa del totale svuotamento delle risorse che ha subìto. I narcisisti lo fanno al fine di far credere ai partner che non esiste alcuna una via d’uscita diversa dal quadro dipinto da loro stessi.

Quando un partner resta nonostante tutto, egli invia automaticamente un messaggio al narcisista: rimanda la certezza di averci a che fare con un essere veramente unico e superiore.

Ci si potrebbe chiedere come la vittima tollera vivere con una persona così intollerante e ostile. Nelle relazioni sane tollerare l’intolleranza non è né accettabile né possibile, ma per la vittima di abuso narcisistico è vitale per la sua sopravvivenza. Trovandosi in una situazione distruttiva dal punto di vista umano e cognitivo, deve calmare la dissonanza che infrange la propria autostima e benessere. La Teoria della Dissonanza permette alla vittima di fare la sua scelta (anche se significa mentire a se stessa), offrendole un modo per giustificare di poter essere felice anche senza intraprendere la scelta opposta (perché la metterebbe sicuramente in pericolo).

Una volta che la scelta è stata fatta e la dissonanza cognitiva si è calmata, la vittima ha a disposizione tutti i tipi di strumenti (meccanismi di difesa inconscia) per rafforzare la decisione di rimanere nella relazione (cioè, Sindrome di Stoccolma, regressione infantile, legame traumatico).

 

327 pensieri su “Il ruolo della dissonanza cognitiva nella sindrome da abuso narcisistico e gli investimenti della vittima per salvaguardare il “rapporto”

  1. Io il fenomeno l’ho completamente ignorato, però quando ha usato la motivazione di dover parlare dei figli sono stata costretta a sentirlo ( ha strumentalizzato i figli perché potesse parlare con me, perché sa che sono l’unico mio punto debole). Una truffa, doveva dirmi la sua sincerità: gli ho riso in faccia. Sono stata male per mesi perché avrei voluto vomitargli tutto il veleno che avevo in corpo, ma alla fine la risata l’ha ferito di più credo

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  2. Device sta succedendo quello che descrivi tu…ogni parola che dice ha il sapore della pagliacciata e di ennesima cazzata senza valore…come dici tu loro poverini NON possono sapere se ti scaricano ancora!!! Ricordiamoci che sono ISTINTIVI !
    Ma Va va

    Ilaria è proprio vero tutelano la loro famiglia dietro comportamenti falsi e annientano noi e quindi in modo indiretto la nostra di famiglia. Poi vengono anche a fare la paternale di come dobbiamo comportarci coi nostri figli perché ovviamente i bambini per loro sono sacri…si fosse mai filato i suoi ma da quanto ho sempre visto il tutto è totalmente delegato alle povere mogli che hanno accanto. Io non ho mai avuto nulla contro di lei anche perché per più di un anno la versione è stata che erano separati in casa e da come si comportava (cioè era sempre con me) io ci ho creduto anche perché era come se non esistesse! Mi faceva leggere i messaggi in cui lei scriveva solo cose di tipo pratico ( vai a prendere il figlio x a scuola che io non posso o mancano i limoni o roba del genere). Non c’era mai una parola di affetto in alcuni scambio…poi riflettendoci ho pensato che se fare la moglie di uno così comporta diventare solo una factotum che non ha nemmeno diritto a parole e gesti d’amore doveva essere una specie di incubo.
    Io se avessi saputo che era sposato non avrei mai accettato l’appuntamento. Lui ha fatto esattamente quanto descritto negli articoli…per mesi mi ha osservata e ha cercato di capire il mio punto di vista su tutto per poi ingannarmi in questo modo vergognoso. Io avevo passato anni da separata in casa quindi gli ho creduto perché avevo lo stesso tipo di rapporto freddo e solo di tipo pratico con il mio ex…poi ovviamente ci sono caduta per bene! Un anno e passa di love bombing serrato.
    Sai continuo a chiedermi perché ci prendono così di mira con ttte qlle che hanno. Se è vero che ci hanno scelte per delle qualità ora non capisco perché insistere su di noi che non vediamo ancora l’ombra delle persone spensierate solari e dinamiche che eravamo.
    Che senso ha insistere su una larva come me ora? Non ci sono più con la testa non ha senso…ma capisco che avendo a che fare con un malato di mente nulla ha senso…che fatica!

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    1. Eris ti stupirò con effetti speciali: anche a me qualche notte prima che lo scaricassi definitivamente ha propinato delle telefonate notturne a sorpresa… abilmente saltate a piè pari!
      Sapeva che erano d’effetto e che una volta con una è riuscito a farmi sciogliere dopo l’ennesimo ritorno. Ha funzionato una volta, perché sforzarsi a cambiare copione? Mica davvero poteva pensare che non fossi quella cog××××× che mi aveva fatto diventare?
      Ho subito anche le stesse bugie e ho rischiato di perdere tutto quando lui se ne sta ancora bello bello (si fa per dire.. in questi anni declino fisico spaventoso: capelli che cadono impietosi, panza che mina un torace al quale tiene tanto.. qualcuno in Cielo esiste!) a tirare e mollare una poveretta molto più piccola di me che – tra l’altro – ha agganciato durante la morte del padre: c.v.d.
      Tutti uguali, fatti con un malefico stampo.
      E questi giorni sono arrabbiata, è vero. Gli sputerei addosso se potessi perchè si è subdolamente dovuto rifar vivo e sono sicura che trama ancora. Ma non sento dolore, non mi sento in pericolo di ricascarci, non credo che pensarlo in questi termini sia una sua vittoria.
      Anzi, sento che ora come non mai mi sta facendo schifo perché sta toccando proprio il fondo. Nemmeno un briciolino di dignità… il rispetto per me già lo sapevo ma almeno per se stesso… niente. Il nulla.
      Bene, mi velocizzerà il percorso.
      Forza tutte ragazze, non confondiamoci con questa melma.

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    2. Care ragazze, le telefonate notturne fanno sempre un certo effetto. Durante la sua fase più cattiva ne ricevevo di continuo quando ero fuori per lavoro. Erano dei veri e propri agguati e dopo un po’ di tempo ho cominciato ad andare a dormire con l’angoscia preventiva.
      I fiumi di parole senza senso sono un must.
      Ora per fortuna evitiamo di sentirci, se possibile anche di giorno; da un eccesso all’altro, nello stile migliore.
      Per me ormai meglio così!
      Un abbraccio! Tenere duro mi raccomando.

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  3. Perché ci stanno addosso anche ora che siamo destabilizzati? Secondo me, dipende molto dalla loro situazione, non dalla nostra. Ricordiamoci che misurano tutto a proprio uso e consumo, il loro Ego smisurato è misura di tutte le cose (a prescindere dalla realtà). Tornano perché percepiscono che possono ancora prendere attenzione da noi. Tornano per controllare se abbiamo ancora disponibilità nei loro confronti. Tornano perché non smettono di pensare che apparteniamo ancora a loro, come tutte le altre/gli altri che hanno avuto la sventura di incappare in loro. Tornano per vendetta. Tornano anche perché semplicemente non hanno nulla altro per le mani né all’orizzonte. Tornano perché hanno bisogno di specchi, la loro patologia lavora essenzialmente nelle relazioni con gli altri e da soli non ci sanno stare, non sia mai che debbano fare qualche conticino personale con il loro vuoto interiore…
    Il mio è tornato e tornato e tornato finché ha percepito che lo avrei accolto. Nei miei modi (anche se per lui pure impegnativi da fronteggiare), ma lo avrei accolto. Ha smesso di tornare quando si è procacciato una fonte alternativa di approvvigionamento migliore (inesperta, inconsapevole e quindi manovrabile, spaventabile, asservibile), di cui inizialmente disprezzava l’ignoranza e il mestiere umile e di cui ora magnifica il connubio passionale. Ha smesso di tornare, cioè, quando si è trovato nella condizione di potersi rifornire di carburante senza dover sopportare la mia consapevolezza e il mio rifiuto delle dinamiche peggiori. C’era anche la mia forte affettività quando non si comportava come uno stronzo, c’era la mia accoglienza delle sue difficoltà, c’era il mio spirito per discorrere di filosofia e per ridere insieme. Ma questo, però, per lui non fa la differenza. Come dire, nella loro testa la differenza la fanno loro. Come fosse un dono del cielo dover sopportare quello che di malsano propinano.
    A lungo ho pensato: come fa a stare con una donna con cui, oggettivamente, di cosa può parlare? come può un uomo di cultura rinunciare ai discorsi con me, alle divertenti dispute intellettuali sulla letteratura, la filosofia, la musica, la danza? ma come fa a stare senza di me? La risposta alla fine è semplice: non solo ce la fa benissimo, come la realtà dimostra ampiamente, ma io rappresento esattamente la persona con la quale un individuo così malato non può stare. Perché non mi adatto ad essere una sua estensione, perché non ho mai rinunciato alla mia individualità, perché continuo a pensare e a riflettere nonostante il suo minuzioso e costante lavoro di distruzione.
    Questo per dire che, se continuiamo ad avere consapevolezza e abbiamo imparato a non lasciarci manipolare, a non abboccare alle loro dinamiche (non solo l’amore assoluto promosso dall’idealizzazione, non solo la nostra disperazione per il veleno che gettano costituiscono il loro nutrimento, ma anche la nostra rabbia contro di loro è approvvigionamento di discreta qualità), se ci sottraiamo a tutto questo la loro dipartita viene propiziata. Si legheranno per forza a fonti più generose. Questo fa anche molto male, lo so bene, ci lascia increduli, ma l’amore era solo un’illusione dentro la nostra testa e, soprattutto, – di fatto – il problema diventa di qualcun altro, non più il nostro.

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    1. Cara Blume, alle tue capacità intellettive rinunciano quando comprendono di non riuscire ad appropriarsene. Ciò che auspicano è una donna di poca cultura alla quale possano far da “mentore”. Vogliono una tipa plasmabile e facilmente impressionabile. Se c’è una cosa che odiano profondamente è la parità. Ti chiedo: lui davvero era una persona che ritenevi mediamente intelligente? Molto spesso restano in superficie su ogni argomento, cercando sopratutto di assorbire ciò che sai tu per vendere la tua conoscenza a una platea che ritengono poco informata. Le tue idee, opinioni e saperi subiscono un “trattamento” conforme il loro lessico e poi vengono trasmesse, mandate avanti come se fosse unicamente il frutto delle loro “molteplici ricerche”. Hanno bisogno di nutrimento anche cerebrale, non solo sessuale. E se tu lo rifornivi su questi due front mi sembra chiaro che a un certo punto il suo cervello rettiliano abbia puntato sulla persona che nutriva il suo lato più primitivo. Considera che non stiamo parlando di uomini normali, ma di esseri sprovvisti di intelligenza emotiva che operano una scissione TOTALE tra mente e corpo. Per farla breve, se sei una donna intelligente e ben risolta professionalmente NON PUOI ESSERE DESIDERABILE. Se, invece, sei desiderabile, allora sei STUPIDA a prescindere dei tuoi progressi e della tua conoscenza. Fatto sta che queste persone non si accontentano mai e poi, come da copione, partono per la trasgressione o ancora peggio, verso l’illecito. Una persona scissa non potrà mai trovare qualcuno che la renda veramente felice, né nel Paradiso, né tra le fiamme degli Inferi.

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    2. Sottolineo come temano di restare soli: la mia ex non sta da sola nemmeno coi figli in vacanza al paese. Non potendosi portare il poveraccio che attualmente è la sua vittima, si porta sempre una qualche amica con i relativi figli, in modo che i ragazzini si distraggano tra loro e non si creino situazioni di intimità tra lei e i figli. Esattamente il contrario di quello che faccio io. Ho scoperto in questi anni di poter stare anche da solo e quando sono con i miei figli me li godo al cento per cento. Sono dei poveracci, delle poveracce. Tenerli a distanza è l’unica via d’uscita.

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    3. Cara Blume io avevo le stesse convinzioni ovvero pensavo che condividevamo talmente tanto le nostre passioni che era impossibile si potesse staccare da me e invece non avevano alcuna importanza per lui queste cose.
      Fa niente ormai non voglio nemmeno pensarci a quanto mi ero illusa a riguardo. Pensavo pure fosse felice con me ma anche questo trova le risposte che poi ho ricevuto e fa niente uguale.
      Va allontanato tutto senza guardare più indietro. Questi pensieri fanno parte del passato e spero anche lui molto presto. Sicuramente l’idea che avevo in testa di lui, ecco ora mi tengo ben a mente quella reale il resto va sostituito con la realtà.
      Buonanotte

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    4. sono pienamente daccordo, con me lui non poteva stare, per quanto lo amassi non mi lasciavo manipolare, i suoi cojmportamenti offendevano la mia individualita’ e i miei stessi sentimenti, non potevo sottostare a tali modi, ho preferito lasciarlo andare, e, malgrado la rabbia e il dolore, non abboccare piu’ ai suoi tentativi di ravvicinamento che, puntuali, dopo lunghi periodi di silenzio, si ripresentavano.

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      1. Anche io la stessa cosa, Silvaselva. Ho preferito lasciarlo andare, abbandonare le dinamiche, non abboccare più. Non potevamo stare insieme. Non solo io con lui, ma anche lui con me, considerando le necessità dettate dal suo disturbo, che non ho mai supportato nel modo in cui il suo cuore infernale desiderava. Va accettato.
        In me c’è ancora tristezza al pensiero della vicenda, non lo nego, ma la rabbia (che comunque non ho mai provato in maniera significativa) e il dolore (che invece ho provato fortemente) non sono più tanto presenti.
        Un abbraccio.

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  4. Sì, lo ritenevo intelligente, almeno sotto certi aspetti (non quello emotivo, certamente). La filosofia, ad esempio, che è materia nella quale io mi muovo piuttosto agilmente, la conosce in un modo abbastanza approfondito, sicuramente non banale, abbiamo avuto parecchie conversazioni filosofiche non superficiali (sostenendo la validità di approcci differenti) che può darsi in seguito abbia “rivenduto” ad altre per stupire, questo non so, può essere. Ci siamo divertiti parecchio insieme, anche intellettualmente, non solo sessualmente (qualcosa che, tra due persone normali, funzionerebbe alla grande, e questo certo mi ha ingannato). Ma, proprio per questo, mi ha percepito rapidamente come una nemica, un problema, perché, appunto, non possono sopportare la reciprocità né, parimenti, una donna capace di dialettica, perché sappiamo che sono misogini. Significativo, in questo senso, che in alcune discussioni animate (sulle storture del suo comportamento), discussioni in cui cercava di confondere i piani e ribaltare la realtà come ogni np doc, di fronte al mio non lasciarmi confondere dai suoi giochi di prestigio (rimanevo sempre sul pezzo, pur se a prezzo di grandi energie) gli sia sfuggito una volta di apostrofarmi “mamma”! (qui ha cercato di colpevolizzarmi: lo vedi come finisce che ti chiamo? gli ho risposto che non era colpa mia se il fantasma interiorizzato di sua madre lo abita ancora, che il problema non ero io ma il suo rapporto con sua madre…). A mio parere, è stato all’interno della relazione con me fin troppo, a un certo punto sinceramente mi chiedevo come potesse sopportarlo. Il rapporto con me è stato caratterizzato da forte attrazione fisico-mentale (per un oggetto che conservava ostinatamente la sua identità) e contemporaneamente repulsione (per lo stesso motivo di cui sopra). Ha rapidamente cercato di sminuirmi (“non sei così intelligente come pensi di essere!”, “pensi sempre di essere superiore agli altri e non hai alcuna umiltà!”: detto da lui, poi…), pur se l’attrazione contemporaneamente l’aveva. Cioè, ha sempre alternato desiderio a rifiuto, realizzato in termini plateali e maligni, ostentando indifferenza in pubblico, rimproverandomi di non avere cuore, di farmi sempre cercare, di non apprezzarlo abbastanza (!), addirittura di volerlo distruggere. Un andare e venire schizofrenico tra i due poli. L’esito finale, ovviamente, uno scarto totale.

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  5. E, aggiungo, l’esito finale è stato, non a caso, il rifugiarsi nella relazione con una donna di poca cultura a cui può fare da mentore, esattamente come dici tu, Claudileia, una donna che può impressionare e manipolare facilmente. Una persona che sgrana gli occhi ad ogni cosa che dice. In una relazione del tutto asimmetrica in cui può fare il bello e il cattivo tempo. Probabilmente, lo sforzo con me era eccessivo per la sua pigrizia mentale. Mica giocano ad armi pari, barano, vogliono sempre vincere facile, per poi sentirsi dei grandi giocatori.

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    1. Blume evidentemente aveva capito che eri superiore. Loro poi quando iniziano a svalutare svalutano tutto non salvano niente…io inizio a pensare che in qlla fase ci vedono come dei mostri! Le facce sprezzanti gli sguardi di fastidio che sembra odio…
      In tante occasioni mi sentivo veramente a disagio e di troppo e col senno di poi anche in sta cosa ho compreso perché in meno di un secondo mi ha fatta fuori dalle collaborazioni lavorative che avevamo insieme. ‘Non ho bisogno di te io me la cavo benissimo anche da solo’.

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  6. il mio non lo reputo intelligente….anzi ….con lui si poteva parlare di poco o nulla….diciamo che i suoi interessi erano sesso,campi e galline…..anche se di lavoro facesse agente di commercio….ma limitato anche tecnologicamente x….suoi.
    pensava di avere a che fare con una stupida….quando le scarpe gli andavano strette perche’ lo sgamavo su tutto scappava e scappa come un vigliacco….i ritorni purtroppo sapeva che mi mancasse e lo avrei accolto….solo che in quest’ultimo anno io sono cambiata e tanto, non so’ se lo psicologo, il dolore, voi…ma certe cose non le tolleravo più e sono iniziate le scintille, e tornato a luglio promettendo cambiamenti, attenzioni, perchè lui la moglie non la ama, ma non la lascia perc dopo 40 anni di vita insieme non gli farebbe mai del male (a me si)…non puo’ vivere senza me (vomitevole) ma alla prima mia richiesta scoppia l’inferno….in questi gg sono stata male ,non lo nego ma più perc mi ero riillusa..e stavo ancora a credere alla montagna di cavolate e palle che dice,che x la sua mancanza….quando non gli conviene perc sa’ che non avrà nulla….sparisce nemmeno un buongiorno….quindi devo solo metterci un masso sopra ed andare avanti….anche lui ostenta desiderio e rifiuto, amore e odio, due persone in una infatti scherzando gli dico spesso: raramente qualche persona buona si è impossessata di te!!!!!
    la conclusione è che lui è il NULLA!!!! se alla sua età non sa’ cosa vuole incoerente su tutto…c’è poco da aggiungere….deve solo sparire dal mio cervello!!!!

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  7. Da quanto ho letto, normalmente si dice che iniziano a svalutare quando sanno di avere in pugno la persona lovebombizzata, quando cioè la ‘prescelta’ si presenta ormai completamente innamorata, con tutte le difese abbassate, persa in un intontimento d’amore. La mia esperienza, però, non è stata questa. Np ha iniziato a svalutarmi quando ha visto che non cedevo alle dinamiche. Che ero disponibile alla relazione con lui, ma non alle sue regole. Ha cominciato a svalutarmi quando io, per reazione alle sue scortesie (chiamiamole così…), ho cominciato a innalzare le mie tipiche difese alla sofferenza (mostrare indifferenza, chiusura comunicativa, sarcasmo, cose così), che lo hanno fatto incazzare. Io, da quanto ho letto e sperimentato, ho maturato l’idea che negli np dominino essenzialmente due fantasmi opposti: se riescono a determinare che l’oggetto d’amore (chiamiamoci così…) si fonda simbioticamente in loro, annullandosi, a un certo punto prende corpo in loro il fantasma del genitore disfunzionale che hanno avuto e quindi si vendicano (facendo sentire l’altro il bambino terrorizzato e perduto che sono stati loro): qui si esercita al massimo il sadismo; se non riescono a determinare questa fusione malsana (e l’oggetto d’amore rimane con la sua individualità), allora prende corpo in loro il fantasma del bambino terrorizzato che erano loro stessi e l’altro diviene il genitore disfunzionale che hanno avuto (terrorizzante), l’altro affiora in loro insieme all’inquietudine minacciosa del bisogno e della dipendenza (la loro, che non ammettono): qui si esprime invece al meglio tutta la paranoia. Insomma, siamo alle solite: o abusano o sono abusati, non c’è terza via… Tra le due, però, è evidente che preferiscono le relazioni del primo tipo. Non so, Claudileia, se sei d’accordo con questa interpretazione.

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    1. Carissimi, il ragionamento sul bambino o genitore interiorizzato che fa Blume credo sia corretto.
      Io sono stato violentemente e sadicamente svalutato all’improvviso, e proprio quando sembrava che le nostre tensioni, che avevo reputato fino a quel momento normali in un rapporto di lunga durata, si stavano sopendo, e alcuni problemi che potevano essere risolti semplicemente con il dialogo e una sufficiente dose di capacità di perdono reciproco, sono diventati la scusa per distruggere il rapporto. Quindi nel mio caso credo valga la teoria del genitore: le cose andavano troppo bene, io ero completamente in simbiosi con lei, e quindi lei ad un certo punto ha avuto bisogno di vendicarsi riversando su di me l’odio che covava per i genitori (senz’altro disfunzionali per lei sotto molti punti di vista); non è un caso che a partire da quel momento lei abbia cominciato a distruggere parallelamente anche il rapporto coi suoi genitori fino a non avere più nessun contatto con loro ormai da quasi due anni.
      Solo che loro se ne stanno a casa loro, io sono condannato (almeno nelle sue intenzioni) a continuare a starle vicino (paura dell’abbandono e di rimanere sola, come dice Guglielmo).
      Una cosa su cui la mia np un po’ si differenzia da molte descrizioni che leggo qui, è che lei raramente ostenta grandiosità; questa è semmai strisciante e ci ho messo molto tempo a vederla, nel senso che è una specie di sottinteso mascherato da una finta umiltà, umiltà che poi scompare nel momento in cui lei si sente attaccata o criticata; allora lì ha sempre ragione lei, ma a bocce ferme appare docile e comprensiva. Inoltre spesso mi è capitato di cogliere in lei una bassissima autostima; l’ho sentita affermare davanti alla terapeuta di coppia (e questo in realtà potrebbe farmi pensare che il momento fosse del tutto strumentale, cioè stava facendo la figura della contrita) che non si capacitava come una persona meravigliosa come il sottoscritto (pensa un po’…..), si fosse abbassato a stare con una come lei. In realtà credo che proprio la mia rispettabilità fosse quello che le serviva a “redimersi” rispetto alla sua vita passata fatta di eccessi.
      In questo senso però io non mi sono mai sentito sminuito ed anzi lei spesso ha lodato (credo anche sinceramente) le mie capacità sul lavoro e la mia cultura (non che io sia un genio, ho una normale cultura scientifica e generale, anzi di solito sostengo che la maggior parte delle mie conoscenze sia da attribuire alla mia passione per le parole crociate).
      Alla fine le dinamiche generali sono spesso molto simili e loro sembrano fatti con lo stampino, però è anche vero che entrando in profondità le dinamiche interne personali sono spesso molto sfaccettate, per lo meno nel mio caso; la cosa mi ha reso difficilissimo inquadrare il problema e realizzare in che dinamica mostruosa mi trovassi.
      Abbraccio!

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  8. Cara Aomame, che piacere sentirti e sentire che tieni duro, anche se la tua indole da crocerossina ti ha fatto ritornare a vedere come se la cava.
    Continua così. La lavatrice prima o poi si impara come funziona.
    Mi dispiace che il cane stia soffrendo (intendo l’animale, non vorrei offendere nessuno)!
    Un abbraccio.

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  9. Cara Aomame, anche la tua storia certo è tristissima, con l’aggravante della malattia e delle sciagure familiari. Io definirei il tuo np maligno esattamente come gli altri, perché è ognuno a suo modo. La malignità perversa risiede nell’utilizzare gli altri esclusivamente per i propri bisogni, al fine di mantenere alta la propria labile autostima, a qualsiasi costo, facendo pagare all’esterno il prezzo di questa autodifesa. Gli altri sono alla stregua di un pungiball e di un paracadute. Pure se si rompono, fa niente, basta che abbiano funzionato bene. I modi con cui agiscono questa perversione possono essere diversi. Ci può essere una tendenza maggiore al sadismo o all’indifferenza. Ci può essere una tendenza alla grandiosità o al vittimismo. Ci sono differenze caratteriali, propensioni diverse, ma il meccanismo perverso di base è lo stesso. Il tuo, forse, non ti avrà insultata direttamente, ma il suo comportamento durante la tua malattia, il chiamarti Nosferatu, come lo vogliamo classificare? Io lo trovo anche più crudele di tante offese dirette con le parole. Io, al posto tuo, non solo non gli darei nessun supporto con gli elettrodomestici (che usi il cervello almeno con le istruzioni elementari), ma anche porterei via il cane, uno fra gli animali più empatici che esistano al mondo, e che male ha fatto questa creatura per doversi rapportare a quel deserto emotivo? Non è impossibile che veramente abbia smesso di mangiare. Col cane, essere magnanimo e generoso, un np non può fare i suoi giochetti, non può manipolarlo, abbindolarlo con le parole o con il sesso, con i simboli, i rimandi, le cazzate: il cane, direttamente, registra lo stato interno dell’essere umano, e glielo restituisce pari pari. Per questo il cane ora è apatico. Per cui, neanche costruirà una compagnia per np. Scusate la lungaggine sul cane, ma li amo molto, e ci ho vissuto una vita con loro.

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    1. Cara Blume, il cane tecnicamente non sarebbe neppure suo. E’ con noi da un anno, prima lo teneva mio fratello e prima quando c’erano i miei era con loro. E’ registrato a nome mio. Glielo ho lasciato perché gli si è affezionato molto, anche se l’ha sempre trattato un po’ come un pupazzetto. Quando c”è stato qualche problemino me ne sono occupata io. Solo che adesso lo usa come un’arma per impietosirmi. Ma se glielo porto via non so che tipo di reazioni posa avere…mi fa un po’ paura

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      1. Brava Aomame!
        Non preoccuparti, lascialo sfogare, cerca di trattarlo con indifferenza quando lo farà. Alla lunga la mia si è stufata di attaccarmi.
        Facci sapere.

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  10. Cara Aomame, mi spiace se ho contribuito ad aggiungerti la preoccupazione del cane e se, per questo, dovrai affrontare la rabbia di np. Però davvero penso quello che ho detto sui cani. Davvero ho vissuto una vita con loro (e anche coi gatti) e sono stata per 20 anni una volontaria che si occupava di abbandoni, randagismo e maltrattamento. Per un periodo sono stata anche una guardia zoofila (ho dovuto smettere quando non ho più sopportato tutto il dolore che vedevo, che si riversava su di me, queste cose le puoi fare per un tempo limitato, poi è meglio passare il testimone a energie più fresche). Per me, hai fatto la cosa migliore, e vedrai che il cane con te starà bene, perché i cani hanno bisogno principalmente di empatia. Np, lascialo sfogare, tanto un motivo lo trovano sempre per attaccare.
    Un bacio

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  11. IN RIFERIMENTO A GIANNI, CIRCA IL RAGIONAMENTO SULLA TIPOLOGIA DELLA SUA CONSORTE NP .
    Mi pare di capire che gli np non rispondano solo a un modello schematico, si muovono lungo una linea che va dal vittimismo alla grandiosità, uno stesso np può passare da uno schema all’altro, a seconda del contesto e di chi ha di fronte. Quello che non cambia è l’assetto patologico, che in tutti i casi risponde a degli schemi disfunzionali ripetitivi molto precisi.
    In un articolo accademico ho letto che, nelle dinamiche narcisistiche, dietro ogni manifestazione di grandiosità c’è il sentimento di una vulnerabilità che si ha paura di avere e che si teme che il mondo possa scoprire, mentre dietro ogni espressione di vulnerabilità c’è una pretesa di grandiosità a cui si sente di avere diritto e che si avverte ingiustamente negata dal mondo. Sono due facce della stessa medaglia. Subito si innescano però stati alterati ripetitivi e le stesse reazioni patologiche (perché sono soprattutto reattivi, mai riflessivi). Quando si rispecchiano in un Altro che rimanda loro un’immagine di grandezza (ad es. nella fase di idealizzazione e della fusione simbiotica) stanno bene per un po’, ma prima o poi cominciano a sottolineare le imperfezioni dell’altro, per non vedere le proprie: un quadro di idealizzazione assoluta, infatti, non può durare a lungo in nessuna relazione, ma loro che debbono mantenere di sé un’immagine perfetta debbono per forza cominciare a svalutare l’altro (altrimenti dovrebbero riconoscere anche i loro limiti e accettare i limiti dell’altro, come sarebbe naturale approfondendo il rapporto): inizia qui la fase della svalutazione (condotta in diversi modi, triangolazioni, attacchi pesanti o piccole svalutazioni costanti a bassa intensità, dipende dai contesti e dal loro carattere) ma condotta da una posizione di forza (si sentono fantastici mentre l’altro è avvertito come inferiore e per questo deve pagare: qui secondo me prende corpo, in loro, il fantasma del genitore punitivo). Quando l’Altro non rimanda o non rimanda più questa immagine della loro grandiosità (perché non rinuncia alla propria identità o comincia a sottrarsi alla morsa patologica), emerge in loro la sensazione di sentirsi piccoli e inconsistenti (prende sostanza il fantasma del bambino terrorizzato e abusato), quindi inizia la fase di svalutazione per reagire all’altro che si differenzia da loro, ma partendo da una posizione di debolezza: qui inizia spesso la costruzione di una fantasia di vittimismo (incolpano gli altri di non apprezzarli, il mondo è ostile, tu sei stronzo/a, etc.). Oscillano spesso tra questi due poli, dipende molto dal contesto e da come si posiziona la persona che hanno di fronte. Secondo me, qui agisce pure in qualche modo una differenza di genere, che è tutta culturale: ai maschi fin da piccoli viene insegnato che possono esprimere pienamente loro stessi e debbono anzi esplicare la loro potenza virile (in np questo per me si traduce molto nell’espressione della dimensione di grandiosità, vaneggiamento di successo illimitato, deliri di onnipotenza fallica e mentale), alle femmine si insegna invece a celare i propri desideri e le proprie fantasie (in np: vittimismo, suscitare sensi di colpa, lamentazione, etc.). Ma i meccanismi di base sono gli stessi per tutti e possono tranquillamente passare dall’una all’altra posizione senza soluzione di continuità, rispondendo a stimoli interni e soprattutto esterni, reali o immaginari che siano.
    Il mio fantastico np, ad esempio, con me all’inizio esprimeva grandiosità (alimentando l’idea che era conteso da molte, triangolando a palla, pavoneggiandosi in vari modi, cercando di impressionarmi con la dialettica paradossale), ma poi si è spostato più spesso verso il secondo modello (vittimismo) perché le attenzioni nell’altro modo non le otteneva (mi incastrava più facendo la vittima che il carnefice, perché io così ci cascavo, cercavo di rassicurarlo). Significativamente, mi ha a volte accusato addirittura di essere troppo maschile, soprattutto quando la mia reazione tipica di fronte alle sue cazzate era la razionalità e non la reazione squisitamente emotiva. E’ arrivato anche al punto di avanzare dubbi sulla mia identità sessuale! nessun pregiudizio verso gli omosessuali, ma semplicemente non lo sono. E’ vero però che su questo riusciva comunque ad agire su un mio senso di colpa molto profondo: mi sono sempre un po’ vergognata delle mie tipiche difese psicologiche di fronte all’attacco e al pericolo relazionale: negazione della sofferenza stessa (sotto il profilo emotivo) attraverso razionalità e concettualizzazione, non manifestazione delle emozioni, durezza, incapacità di chiedere, contrattacco pesante, che a ben pensarci sono tutte le tipiche difese narcisistiche.
    In conclusione, però, possiamo dire che np non fanno tutto da soli: noi ci incastriamo sempre con loro, offrendo varia materia! Quello che dobbiamo avere chiaro è che non possiamo salvarli da loro stessi, giacché non hanno affatto la consapevolezza di doversi salvare, mentre noi sappiamo che dobbiamo assolutamente metterci in salvo da loro, non solo ragionando su come sono fatti (cosa che facciamo sempre e abbiamo fatto tutti, io per prima, anche perché l’opera di documentazione per fronteggiarli è sempre necessaria e direi urgente), ma pensando a come siamo fatti noi che abbiamo spinto noi stessi a legarci a queste follie. Insomma, secondo me dobbiamo uscire fuori dalla percezione di noi stessi solo come vittime. Questo non certo giustifica le loro azioni, per carità, né introduce una pari responsabilità nell’abuso che resta tutto a loro carico senza sconti, ma senza capire da quali crepe dell’anima, da quali nostre disfunzioni ‘sti personaggi teatrali si sono inflitrati in noi, rischiamo sempre di ricaderci, o con questi stessi o con altri in futuro.

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    1. Cara Blume, condivido pressoché in pieno ogni tua considerazione (sembra quasi scritta da un professionista, complimenti per il livello di approfondimento).
      Io ho da tempo smesso di cercare di capire e dare un senso, so solo che, come hai sottolineato tu, oscillano da un polo all’altro, spesso in maniera caotica, passando dall’idealizzazione alla svalutazione in un attimo, dalla grandiosità a fasi depressive, da apparenti fasi di generosità a verissime fasi di cattiverie e così via.
      Non credo serva tentare di star loro dietro, anzi a provarci si impazzisce, e loro ne godono o nel migliore dei casi non ne sono consapevoli.
      Io ho passato buona parte se non tutte le sfaccettature che hai descritto, e questo non ha fatto altro che aumentare la confusione, il disorientamento o in altre parole sta benedetta dissonanza cognitiva.
      L’unica salvezza è, come scrivi nella parte finale del commento, capire che dobbiamo concentrarci su noi stessi e smetterla di cercare di dare un senso alle loro follie. E questa è sicuramente, almeno lo è stata per me, l’occasione per risolvere anche i nostri problemi latenti, quelli che abbiamo a prescindere da loro, ma che probabilmente sono la causa principale del motivo per cui loro fanno tanta presa su di noi. In questo caso dobbiamo smetterla di fare solo le vittime.
      Se posso portare la mia esperienza: chiunque sia costretto a gestire una fase di crisi a causa del suo rapporto con un np (anche in questo hai ragione, noi possiamo avere tutti i problemi che vogliamo ma è la loro presenza a farci comunque soffrire così tanto) dovrebbe cogliere l’occasione per un’approfondita analisi personale, al di là della situazione in cui si trova in quel momento; in questo credo sia fondamentale l’aiuto di un terapeuta professionista. Questo dovrebbe evitare il rischio di uscire più o meno indenni da un rapporto patologico, ma di finire in un altro simile per non aver capito quali sono i nostri punti deboli su cui può far breccia un np. E aiuta anche a capire meglio le dinamiche del np, che nascono il più delle volte dallo stesso tipo di ferite narcisistiche primarie, che noi sviluppiamo nella tendenza a instaurare rapporti di dipendenza, loro nella tendenza a sviluppare il loro disturbo, con tutto quello che ne consegue.
      Confronto interessante!

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      1. Alcuni mesi fa proprio qui abbiamo affrontato il tema vittima / complementare di un narcisista. Se avtete pazienza di cercarlo ci sono molti punti di vista e passaggi illuminanti, o che almeno lo sono stati per me che non riuscivo ad accettare il ruolo che, mio malgrado, avevo ricoperto.

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  12. Sì, è vero, abbiamo fatto una discussione approfondita sul ruolo di vittima e complementare di un np, con spunti interessanti.
    Io preferisco rappresentarmi come una complementare, una co-dipendente. Perché non posso non vedere l’aggancio che pure io offro a questi soggetti (se fosse solo un caso l’averli incontrati, non sarebbero stati così tanti nella mia vita i disturbati, tra anaffettivi-individui con forti tratti narcisistici-narcisisti perversi veri e propri).

    Ragionando su di me, ho capito:
    – di avere alle spalle le stesse ferite originarie dei narcisisti perversi (storie di non riconoscimento del nostro valore da bambini, etc.), come dicevo
    – di avere spiccati tratti narcisistici pure io (senza malignità e senza disturbo pervasivo): le difese che metto in atto di fronte alle difficoltà relazionali sono proprio le stesse (chiusura, negazione e razionalizzazione delle emozioni, difficoltà a riconoscere i miei bisogni e tendenza a sintonizzarmi sui bisogni altrui, senso di inadeguatezza che mi spinge a rappresentarmi come forte e superiore, etc.); la mancanza di agency (non riconoscimento del mio valore interno); la necessità della validazione esterna per confermare il mio valore
    – di avere difficoltà e disturbi soprattutto sul terreno delle relazioni sentimentali e per nulla in altri ambiti
    – di avere la tendenza all’immaginazione fantastica più che all’ancoraggio alla realtà, nelle relazioni con gli uomini (differentemente da come sono nell’ambito professionale e nelle amicizie, in cui mi distinguo per sensatezza e senso di realtà)
    – di essere stata propensa a realizzare, nel corso della vita, relazioni solo di due tipi. O relazioni del tutto asimmetriche, con me in posizione di forza, con uomini che erano più coinvolti di me (senza abusare di loro, ma certo io al riparo da qualsiasi possibilità di sofferenza); questi uomini in genere erano molto positivi, “facili” nel senso di disponibili all’amore , spontanei, diretti nella comunicazione e capaci di reciprocità e autenticità. Oppure con uomini molto difficili, di cui inutile dire che mi sono intrigata al massimo, la cui conquista si profilava in termini di sfida ardua se non impossibile; a questo secondo tipo corrispondono gli anaffettivi (es. il mio ex marito) e i disturbati di vario genere (tra loro, ad esempio, uno a cui poi è stata diagnosticata la schizofrenia, altri che oggi come oggi identificherei come minimo tendenzialmente borderline o con forti tratti narcisistici, fino ad arrivare agli affetti da vero e proprio dnp come questo ultimo fantastico campioncino)
    – di avere necessità, per coinvolgermi fortemente, di stare sempre sul filo del rasoio, per provare forti emozioni anche a costo di subire poi la caduta negli inferi
    – di avere fantasie di onnipotenza sugli uomini: “salvare” dall’inferno i disturbati, attraverso la mia eccezionalità di donna e la mia lucidità intellettuale
    – di avere fantasie di onnipotenza sugli uomini: se proprio non si riesce a salvarli, colpirli e vincere su di loro in una sfida di potere
    – di avere la necessità di specchiarmi in individui da me percepiti come eccezionali (in realtà, solo disturbati, eccezionali sì ma nel loro disturbo e non nella loro grandezza) al fine di avvertire anche io il mio valore eccezionale (che altrimenti non avverto, se non in questo rispecchiamento: mancanza di agency), tipo Mina nella canzone Grande grande grande
    – di avere necessità di coinvolgermi con questo genere di individui anche per avere sempre una porta aperta verso la fuga (la mia): alla base, una forte paura delle relazioni, quindi legarmi a uomini inaffidabili in modo che il fallimento relazionale possa essere imputato più a loro che a me
    – di avere la necessità di replicare un copione antico (la relazione con mio padre, anaffettivo e distante), per cambiarlo e vedere una fine diversa (lo svelamento dell’amore incondizionato verso di me da parte di soggetti difficili)
    – di avere la necessità di replicare il copione antico semplicemente per muovermi, in modo rassicurante, su un terreno già noto
    – la difficoltà di stare veramente da sola: in realtà, ci sono stati lunghi periodi nella mia vita in cui non ho avuto relazioni stabili, ma mai completamente senza un uomo, sempre con qualche rapporto bene o male in piedi

    Comunque, ha ragione Gianni: senza una terapia di supporto, non se ne esce facilmente…

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  13. Cara Blume, spero di non urtare la tua sensibilità, ma secondo me un po’ tu ti fai del male (lo dico molto affettuosamente), anche se immagino il tuo sia soprattutto un contributo alla discussione su vittime/non vittime: hai fatto un’analisi così approfondita di te stessa, ma soprattutto dei tuoi punti deboli, che ne esce un quadro quasi preoccupante. Hai messo insieme tutte le possibili ipotesi di disturbo o malessere psicologico, e sebbene tu abbia specificato che di molte delle cose descritte tu possieda solo qualche tratto, mi sembra che quello che ne esce sia a dir poco pessimista.
    Credo che ognuno di noi possa trovare in sè stesso qualche tratto di questo e qualche tratto di quello, quella volta o quella relazione in cui ci siamo comportati in un certo modo, magari addirittura simile al comportamento del nostro caro np, ed è lodevole che tu abbia voluto andare così a fondo su te stessa.
    E’ che così si rischia di metterci quasi sullo stesso piano di chi disturbato lo è veramente. Il mio terapeuta ha impegnato parecchi mesi a smontare le mie ipotesi di tutta una serie di disturbi e problemi che qualcun’altro mi induceva a pensare di avere.
    La differenza sostanziale credo sia che una persona normale è dotata di sensibilità e coscienza, prova sensi di colpa quando ritiene di aver sbagliato, cerca di capire dove può migliorare per sè stessa e anche nel rapporto con gli altri, è dotata di sufficiente elasticità mentale per capire quando è il caso di mettere in atto un cambiamento, è capace di perdonare.
    Le persone con il noto disturbo narcisistico tipicamente NO, non sono in grado!
    Quindi secondo me vale la pena di vivere un po’ più leggeri. Anche io ho difficoltà solo nell’ambito relazionale/amoroso, anche io ho le stesse ferite narcisistiche primarie della mia np, anche io mi sono reso conto di aver messo in atto una bella coazione a ripetere, facendo probabilmente gli stessi errori di mio papà nei confronti di mia mamma, in un rapporto logorante e frustrante in cui ho cercato di risolvere, semplicemente amandola, i problemi della mia np come probabilmente mio papà voleva risolvere quelli di mia mamma; anche io ho cercato di colmare le mie lacune affettive investendo in un rapporto di sfida con una donna che, totalmente diversa da mia madre, in realtà era identica nella capacità e nelle modalità di farmi soffrire.
    Potrei andare avanti ancora un po’, ma credo che una volta fatta l’analisi non sia poi il caso di calcare la mano così tanto verso sè stessi, ma di darsi una bella pacca sulla spalla da soli e dirsi che tutto sommato così male non siamo, non fosse altro che abbiamo superato o stiamo superando un inferno che nessuno privo di un minimo di forza interiore sarebbe in grado di reggere.
    Leggo anche altri/e ogni tanto veramente pessimisti/e verso sè stessi.
    Su ragazzi, un po’ di ottimismo e positività!
    Oggi evidentemente non va male, sarà che sono tre giorni che non la sento….
    Un abbraccio, e spero non te ne abbia a male del mio commento.

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  14. Aggiungo: è chiaro che i nostri problemi, per quanto meno gravi dei loro, ma spesso non così diversi in origine, sono terreno fertilissimo per le loro infezioni tossiche. E’ un circolo vizioso; se noi fossimo stati risolti e consapevoli, non saremmo mai stati nemmeno nel mirino di un np; non avrebbe trovato pane per i suoi denti.
    Quindi sì abbiamo una “colpa”, ovvero siamo co-attori della situazione e quindi co-dipendenti, ma non dobbiamo in alcun modo attribuirci particolari responsabilità in quello che abbiamo vissuto. Non ne eravamo consapevoli.
    Se dopo averne preso consapevolezza, e qui ribadisco che a mio avviso ci vuole una bella terapia, non riuscissimo a mettere in atto nessun cambiamento, ne personale ne relazionale, allora sì diventeremmo veramente corresponsabili del male che subiamo.
    Quindi auto-assolviamoci nel momento in cui decidiamo di cambiare.

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  15. Ciao Gianni, è vero che sono impietosa verso me stessa, ma io penso che guardare in faccia la propria realtà, per quanto pessima possa apparire, sia un passo necessario verso l’auto-accettazione (per me, ancora da maturare). Perché il problema è proprio questo, ci si vergogna di se stessi al punto da negare di essere fatti in un certo modo. Con me, la terapeuta (due terapeute, in verità) non ha dovuto smontare le idee, ma proprio metterle insieme, dare ad esse un significato. Perché io non riuscivo a vedere i miei tratti più problematici ed ero incline ad attribuire le difficoltà a cause esterne. Ne è uscito fuori che, per quanto strano possa apparire, possiedo dei tratti marcatamente narcisistici, pur non avendo affatto una natura maligna e possedendo, per quanto contraddittorio possa apparire, una natura fortemente empatica. I tratti narcisistici si manifestano soprattutto nelle difese che predispongo alle difficoltà e negli uomini che mi incantano.
    Questi tratti non mi pongono affatto in una posizione di pari responsabilità rispetto a un narcisista abusante, né io la avverto così. Realmente, e anche con l’ultimo np, mi sono sforzata di far funzionare la relazione verso un obiettivo di positività, certo con l’uomo sbagliato! Ma gli uomini positivi, disposti subito ad amarmi, è come se non mi interessassero. La difficoltà che sto avendo nell’uscire dalla relazione con questo np (che ho chiuso materialmente, ma il distacco mentale mi è molto arduo) dimostra in pieno che certe mie problematiche sono tutte in piedi. In fondo, non si è trattato di una storia di anni, è durata solo dei mesi, eppure le conseguenze, in termini di senso di vuoto e di incastro mentale, sono state e sono pesanti. Confesso che a tratti ho paura: paura di non farcela a uscire da certi pensieri, paura di ricaderci anche con questo stesso np, paura di incontrarne e attrarne altri, paura della mia debolezza, paura della mia lentezza a cambiare. Paura che, probabilmente, cerco di esorcizzare attraverso l’analisi razionale delle cose. La razionalità mi aiuta, però è anche vero, come dici tu, che bisogna anche essere leggeri con se stessi, e sapersi perdonare di non essere perfetti… Per cui prometto che, nei prossimi giorni, entrerò nel blog con pensieri di positiva costruttività! 😉
    Un bacio a tutti voi, io mi preparo per una notte di tango!
    Buona serata a tutti

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  16. Gianni magari hai ragione a dire che sono concetti estremizzati in alcuni punti però io mi ritrovo molto nei pensieri che ha scritto Blume perché anche io ho queste basi di pensiero sul motivo per cui casco e cado in relazioni sbagliate. Soprattutto inizio a concretizzare che forse nemmeno la prospettiva di un rapporto consolidato può fare al caso mio perché se solo ci penso mi vengono i brividi. Questo nel mio caso è anche molto ma molto condizionato dal fatto che vivo da anni sola con mio figlio e il pensiero di mettermi in casa una persona che non è suo padre mi terrorizza parecchio. Sai vedendo anche molte persone di mia conoscenza che l’hanno fatto e magari dopo anni si sono separate nuovamente (quasi tutte) so che tipo di ulteriori traumi crea nei bambini e questa è una sofferenza che a mio figlio devo in tutti i modi risparmiare dopo quello che ha passato quando è andato via suo papà. Ancora dopo anni si porta dentro i segni e nel mentre l’ho portato a fare emdr e terapia. Psicologa della scuola continue convocazioni ovunque per il comportamento…anche lui poverino ne ha passate tante ora gli devo dare stabilità.

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  17. PS: Però, giuro che so anche non essere pesante! Ho grande senso dell’umorismo, rido e faccio ridere, mi piace divertirmi, mi piace ballare, mi piace vivere! 😉

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  18. Un abbraccio, Eris. Ce la possiamo fare!
    Mi dispiace se a volte, su questo blog, contribuisco alla pesantezza, se rattristo. E’ che ormai, nella vita quotidiana, non parlo più di queste cose. Ho smesso di parlarne agli amici, ai familiari, per non essere ripetitiva e anche per evitare che questi pensieri vadano a costituire la mia quotidianità, per ridurne la portata. Questo nostro spazio mi appare dunque come l’unico luogo dove poter condividere certi pensieri (a parte la stanza del terapeuta), perché è fatto di persone che hanno vissuto la stessa esperienza e che hanno in comune con me l’esigenza di parlarne, per cui non ho l’impressione di essere inopportuna.
    Un abbraccio ancora a tutti e tutte.

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    1. Io non ti trovo ne’ pesante ne’ mi generi un senso di tristezza Blume. Sono pensieri che vanno oltre quanto accaduto. La mia terapeuta mi ha detto un giorno in cui avevo finalmente iniziato a parlare di me, che è una svolta mentale iniziare a spostare il discorso su se stessi. Cercare di capire le proprie dinamiche finalmente è un passo verso la crescita. È un modo per riconnettersi verso se stessi dopotutto siamo noi che ci siamo persi nei meandri di queste storie loro sono solo nero su bianco quello che leggiamo! Non crescono non cambiano non maturano. Noi ci stiamo provando tutti in un certo senso stiamo crescendo qui dentro insieme in un percorso che ci trova fatalmente uniti in pensieri che piano piano si stanno spostando su di noi.

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  19. Care Eris e Blume, leggendovi mi sono fatto un’idea: per quanto io sia quello materialmente più indietro (ci vivo ancora sotto lo stesso tetto), forse sono invece più avanti in quel lavoro di ricostruzione dell’autostima che è necessario effettuare dopo essere stati demoliti in quel senso: non me ne prendo il merito, sono solo ad un punto diverso dello stesso percorso. Come scritto prima, anche io ho passato molti mesi a teorizzare miei disturbi e problemi apocalittici; non è che questi problemi non ci siano, magari non sono così grandi come li vedevo io, è che ho imparato a perdonarmi, non tutto gratuitamente e senza rimorso, sarebbe troppo facile; ma alla conclusione di non essere perfetto ci sono arrivato, e me lo concedo; una volta non era così, ed è ancora così in certi ambiti marginali della mia vita; da un’analisi fatta anche col terapeuta, probabilmente alcuni miei errori durante il rapporto derivano proprio dalle asticelle troppo alte che mie ero posto; cioè essere perfetti è molto faticoso, e come spesso capita ad un certo punto il peso di questa perfezione diventa un boomerang che ti fa sbagliare; addirittura sono arrivato a capire che per certi errori non ero pienamente consapevole (“la sua coscienza si girava dall’altra parte” parole del terapeuta); niente di trascendentale, non pensate male, ma comunque qualcosa non rientrava nella perfezione e nella coerenza totale che mi ero imposte, e anche che mi erano richieste, e quindi l’unica difesa era la negazione o la rimozione dell’errore. Infatti quando questi errori sono venuti alla luce ho avuto un periodo difficilissimo in cui sono stato malissimo e durante il quale ho lavorato sull’accettazione dei miei limiti.
    Anche il senso di difficoltà a farsi accettare per quello che siamo che mi pare emergere soprattutto dai commenti di Eris è una cosa che ho dovuto superare anche io; quel senso di inadeguatezza che poi i np tanto bene sanno rimarcare è sicuramente per noi retaggio dei nostri vuoti affettivi e del fatto che siamo, almeno io, sempre stati accettati in funzione di quello che facciamo e non in funzione di chi siamo veramente. Anche su questo si può lavorare, e soprattutto in questo caso è stato per me importante aprirmi ad amici, vecchi e nuovi, nonchè scrivere su questo blog; Claudileia mi ha ringraziato per il “voler condividere una parte di me” su queste pagine, e io le ho risposto che per me è liberatorio poterlo fare dopo una vita passata a fare vedere quello che gli altri volevano vedere e a dire sempre la cosa giusta al momento giusto.
    E se a qualcuno adesso non piace il mio vero essere, affari suoi, non ho mica ucciso nessuno!
    Eris, posso immaginare il tuo timore per tuo figlio e per la sua stabilità, quindi immagino la tua difficoltà a pensarti nella tua casa con un altro uomo, e mi dispiace enormemente che abbia problemi che lo costringono addirittura in terapia. Chissà, te lo auguro, col tempo magari ci sarà qualche bella sorpresa, o più semplicemente tuo figlio crescerà e capirà che anche la mamma può ed ha il diritto di essere felice (ricorda che è veramente un tuo diritto!); ecco, credo che questo possa risolvere la situazione; i nostri figli vogliono prima di tutto la nostra felicità, perlomeno fin che non diventano grandi, ed anzi spesso si credono responsabili dei nostri dolori, e quindi non potranno che essere felici se lo saremo anche noi. Quindi anche se è difficile, non precluderti nessuna strada.
    Ritornando un attimo al punto iniziale, un’altra mia considerazione è che avendo io dovuto fare tutta una serie di passaggi tipici della nostra situazione, ma rimanendo dentro il rapporto, mi sono forse fatto una maggiore corazza rispetto ad altri; da una parte la dipendenza è più dura da sconfiggere, dall’altro aver raggiunto tutte le mie consapevolezze senza uscire dal rapporto mi ha dato una serie di difese maggiori; cioè per adesso ci devo convivere, e ho solo una scelta, soccombere o reagire e vivere. Io ho scelto la seconda; non ho vie di mezzo, non posso tentennare, non posso più mostrare ripensamenti, dubbi, devo tirare dritto fregandomene di lei; in questo ci devo mettere una bella dose di sano egoismo (quello buono), che forse mi aiuta ad essere più ottimista.
    In ogni caso il segreto, e anche io ci ho messo molto tempo in terapia, è spostare finalmente l’attenzione da loro a noi e dare finalmente voce alle nostre esigenze, qualsiasi siano e soprattutto senza vergognarcene.

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    1. Caro Gianni io penso che fondamentalmente questo rapporto mi ha talmente indebolita che ho dovuto per forza guardare lati che non avevo mai voluto guardare. Sostanzialmente prima mi andavo anche bene com’ero. Davanti ai problemi che intaccavano il lato emotivo ho sempre saputo reagire e i problemi li ho sempre automaticamente insabbiati perché la mia testa era perfettamente programmata fin dall’infanzia ad andare avanti a prescindere. Non stavo poi così male ma…tutto qllo che ho sotterrato è venuto a galla ! Non so perché sinceramente. Forse perché davanti a sta sofferenza e al vittimismo in cui poi sono sprofondata per un bel periodo alla fine ho fatto un minestrone di tutte le cose. È quando sono uscita dalla fase acuta del vittimismo che ho iniziato a farmi tante domande e sto cercando le risposte. Forse è qsto il cambiamento degli ultimi mesi.
      Quanto all’autostima è ancora da ricostruire.

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      1. Cara Eris, il solo fatto di accettare la scommessa di andare in terapia ti costringe a metterti completamente a nudo, nel bene e nel male, inteso che, sempre parole di quel sant’uomo del mio terapeuta, tutti abbiamo dentro di noi anche una parte di male, anche se ci rifiutiamo di accettarla. Anche io ero convinto di stare bene con me stesso, ma se ripenso oggi a come stavo veramente mi rendo conto, come dici tu, che di fatto per molte cose stavo infilando la testa sotto la sabbia. Lo fanno tutti e fino a che regge l’equilibrio (per alcuni anche tutta la vita) nessuno lo nota. Se poi ti accade qualcosa che ti costringe a metterti in gioco profondamente, allora sei anche costretto a vederti veramente per quello che sei, e qualche volta quello che vedi non è così bello come pensavi. Ma è un percorso a mio avviso comunque splendido: imparare a conoscermi ed accettarmi nella mia imperfezione è una delle cose migliori che mi siano capitate nella vita; dare ascolto alle mie esigenze e ai miei veri sentimenti è la cosa migliore che porto a casa da questo disastro, che poi alla fine, guardando il bicchiere mezzo pieno, tanto disastro non è se ci consente di uscirne migliori. E non dubito che accadrà anche a te, anzi sta già accadendo.
        Se tu non avessi almeno iniziato a ricostruire la tua autostima non saresti qui stanotte a discuterne con me.
        Un abbraccio!

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      2. Caro Gianni pensa un po’ ho iniziato la terapia perché circa un anno fa avevo finalmente trovato la rabbia sufficiente per lasciarlo e stavo impazzendo! Ero in dissonanza acuta. Sapevo benissimo che avevo fatto bene ma stavo davvero impazzendo senza…alla fine ricascata più volte e sempre con gli stessi sentimenti che man mano erano sempre più schifati al pensiero che ero ancora con lui. Non volevo più stare con lui ma non riuscivo a stare senza per via dell’astinenza. Mi sentivo in colpa verso di me. Troppi anni insieme hanno pesato molto sul distacco. Troppe abitudini e posti che mi riportavano a cose fatte insieme. Si sta male ma quando poi entri in no contact si recupera tanto.
        Si rielabora anche mentre sono presenti come stai facendo tu, è solo un po’ più lunga ma secondo me è un distacco ancora più forte perché se riesci a non amare più una persona nonostante la sua presenza poi davvero non torni più indietro! Col mio ex compagno è andata proprio così ho lottato un anno e mezzo sotto i suoi continui bombardamenti giorno e notte… ma alla fine ce l’ho fatta e non provo più niente…16 anni insieme. Era un narcisista con tratti meno accentuati di questo e l’ho capito stando con questo che avevo fatto il bis! E siamo a quota 3 pazzi!
        Meglio continuare la terapia!!!

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      3. Cara Eris, brava ad aver avuto la forza di andare in terapia in un momento così difficile come può essere il distacco. Certo una terapia personale, se fatta per il motivo giusto, non è una passeggiata in ogni caso, richiede comunque un sacco di energia, attenzione, e nel nostro caso un sacco di tempo, almeno mentale.
        La mia esperienza di terapia, che riprende lunedì ma che veramente vorrei terminare in tempi piuttosto brevi, è stata per me fondamentale, e onestamente consiglierei a chiunque, al di là del manifestarsi di qualche problema o sofferenza, un passaggio di questo tipo prima o poi nella propria vita.
        Certo a volte si rimescola un po’ tutto e ci vuole del tempo e forza, per rimettere tutto a posto. In teoria, poi il risultato dovrebbe essere una migliore conoscenza di sè stessi e l’acquisizione di difese che ci consentano di vivere in pace con noi stessi e con gli altri.
        Quindi credo che continuare sia proprio una buona idea, ti aiuterà molto.
        Un abbraccio.

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  20. Buondì a tutte/i.
    Hai perfettamente ragione, Gianni, la via è quella dell’accettazione serena dei propri limiti, non vergognarsi di averli. Perdonarsi. Abbandonare l’ansia di dover essere perfetti, di salvare tutto, di raddrizzare tutte le storture che si incontrano. Mettersi in ascolto dei nostri più autentici bisogni (ascoltare se stessi e non focalizzarsi solo sui problemi altrui o sui problemi che gli altri ci creano). E’ un percorso che probabilmente tutti noi stiamo facendo, magari tu sei più avanti, io mi sento di essere solo all’inizio, ognuno sta dove sta, l’importante è andare nel verso giusto e non in direzione del baratro.

    Sto scoprendo ora cose di me stessa che non sapevo. Pensavo di avere tutto sotto controllo. L’incontro con l’ultimo np ha avuto l’effetto di scardinare questo sistema interiore, non so perché proprio ora, non so perché proprio attraverso il contatto con un uomo che è stato presente nella mia vita in fondo poco tempo (con altri disturbati ho condiviso molto di più). Il contatto con il mio vuoto interiore prima non l’avevo mai sentito veramente. Lo avevo coperto di altre cose, di relazioni distorte, di pensieri distraenti, proiettandolo all’esterno. Ora vedo invece più chiaramente le cose che mi riguardano. Ed è una scoperta per me nuova e dolorosa. Ho allontanato questo np da me, ho iniziato una terapia, cerco di dare spazio alle cose che possono riempirmi di positività, che mi piacciono veramente, che corrispondono a veri desideri. Cerco di muovermi dallo stallo emotivo in cui questa ultima relazione mi ha posta e cerco di farlo, per la prima volta nella mia vita, attraverso le mie risorse interne, non mediante apporti esterni. E’ una via ardua, mi prendono paure, emerge l’insicurezza, certe volte ho l’impressione di non farcela, ma ormai vado avanti. Razionalizzare le cose che mi riguardano (e non solo quelle che riguardano il funzionamento di np) è sicuramente un modo mio tipico per esorcizzare queste paure (un modo anche problematico di procedere), ma per me è anche un percorso terapeutico: una delle attività che si sono rese necessarie nella terapia è riuscire a dare un nome alle mie emozioni e sensazioni, dico quelle interne, che prima non riconoscevo, riuscivo a individuare soltanto quelle suscitate di rimando dall’esterno, e conoscendo solo quelle ritenevo che fossero le mie. Qui, tra l’altro, credo che vi sia uno degli agganci più potenti che ci incastrano con gli np: se riuscissimo a stare in sintonia con noi stessi, con la nostra pancia, scapperemmo subito da soggetti così malati e abusanti (se non altro per istinto di sopravvivenza) che inducono effetti emotivi e dettano l’agenda dei sentimenti solo loro, ma, se ci riconosciamo solo nel rimando degli altri in noi, ecco che non riusciamo a sottrarci a quelle “sirene” proprio perché attivano (dall’esterno) sensazioni ed emozioni che inconsciamente riteniamo di non essere capaci di generare, a cui non siamo abituati a dare spazio, come se non valessero.

    E’ importante, per me, anche sapere dell’esperienza altrui, della vostra. Oggi come oggi cerco anche di imparare dagli uomini, che mi sono sempre sembrati più superficiali di noi, ma che, in positivo, hanno una capacità di leggerezza che, sinceramente, a noi spesso difetta un po’, ma che serve a vivere con maggior respiro. Per cui, Gianni, pur se mi sono sentita un po’ attaccata (e, data la mia configurazione psicologica, probabilmente anche un po’ giudicata), ti ringrazio delle tue parole e dell’offerta del tuo punto di vista.

    Un abbraccio generale! 😉

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    1. Cara Blume, lungi da me l’idea di attaccarti ne tanto meno di giudicarti. Il mio commento era bonario e nasceva dalla sensazione che tu ti stessi eccessivamente svalutando.
      E’ vero che gli uomini in genere sono più leggeri (forse non necessariamente più superficiali); forse le donne sono complessivamente più complicate, e soprattutto hanno una memoria pressochè infinita, cosa che a noi maschietti difetta molto ma che spesso ci preserva da una serie di pensieri retroattivi e di recriminazioni senza termine. Questa idea è chiaramente molto condizionata dalla mia maggiore esperienza relazionale, quella con la mia np, che in quanto a memoria (selettiva) non batte nessuno, e in quanto a complicazione affari semplici potrebbe scrivere un manuale. In realtà quella complessità e quell’aurea di inafferrabilità e mistero sono una parte bellissima dell’universo femminile, a meno che non sia portata all’eccesso come nel mio caso.
      Mi fermo su queste considerazioni altrimenti alimentiamo la battaglia dei sessi che già su un altro post ha assunto toni completamente fuori luogo.
      Quindi VIVA LE DONNE E VIVA GLI UOMINI, ma solo se non sono np!
      Per quanto riguarda l’aspetto legato agli effetti “collaterali” della terapia, concordo che a un certo punto possano portarti a manifestare delle insicurezze che pensavi di non avere, se non altro perchè metti tutto in discussione. Oltre a tutto a noi capita di doverla fare in un momento non proprio lineare della nostra vita, presi in mezzo da una svalutazione che magari non pensavamo nemmeno umanamente possibile, da acuta dissonanza, che non aiuta ad essere equilibrati, e dalla fase intensa della dipendenza, che ci crea crisi di astinenza che manderebbero fuori giri chiunque. Per questo, come scrivo a Eris, sarebbe a mio parere auspicabile che chiunque facesse un bel passaggio in terapia, magari nel suo periodo migliore e non nel momento della crisi.
      Quindi credo che alla fine ci dobbiamo fare tutti dei bei auto complimenti per aver avuto la forza di metterci in discussione, cosa che ai nostri cari np non passa nemmeno per la testa, neanche se vanno in terapia sbandierando i loro (controproducenti) risultati.
      Un abbraccio anche a te!

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  21. Ciao a tutte/i.
    Come va, come avete passato il fine settimana?
    Io sono andata a ballare parecchio e, per fortuna, ancora nessun incontro ravvicinato del terzo tipo! Speriamo che np duri al massimo con questa fantastica fidanzata, in modo che le sue energie distruttive siano tutte indirizzate altrove…

    Come già vi ho detto, ho conosciuto recentemente un uomo che mi è apparso carino, consapevole di sé e intelligente. Oltre al sesso con lui, mi è piaciuto come mi ha parlato dei suoi figli, i ragionamenti sulla loro educazione e i pensieri sull’ex moglie. Racconti circostanziati, con una fabula, una storia, degli eventi in cui sapeva raccontare di sé e collocarsi emotivamente (sono tutte cose che gli np e i disturbati totali non sanno fare, avete mai notato come i loro racconti siano frammentati, non si capisce molto di quel che è accaduto loro, spesso sanno solo dare giudizi sulle persone senza individuare le circostanze emotive del quadro? questo perché non hanno metacognizione). E però… ci sono elementi che non mi quadrano. Ad esempio, cambi repentini di programmi, a discapito di cose che aveva proposto lui di fare insieme… senza neanche menzionare quel che aveva proposto il giorno prima, come non lo avesse mai detto. Considerando che io, come donna, non mi pongo mai in maniera impositiva o richiedente, non sono pressante e lascio molto spazio personale, considerando che sono molto rispettosa in questo senso, mi sembrano azioni gratuite. E, oddio, mi ricordano molto i test di np… Ora, so che dopo il passaggio di np siamo sempre un po’ prevenuti e sulla difensiva, tendiamo a vedere np anche sotto al letto, però… che palle!

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    1. Ciao Blume, volevo chiederti una cosa. Aver conosciuto un altro uomo non ti ha aiutata a superare prima l’ossessione la sofferenza il vuoto ecc ecc?
      È solo una curiosità che ho per capire se con un’altra persona accanto che non si comporta così male si sta bene ugualmente.
      Io non ho ricordi di come stavo prima di conoscere il np. Gli ultimi 12 anni della mia vita sentimentale sono stati un disastro con sti due uomini!

      Sul discorso dell’essere prevenuti ti capisco alla grande perché io ho il pensiero a chi mi capiterà in futuro da ottima calamita che sono!!!!!!

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  22. Ciao Eris, sì, la conoscenza di un altro uomo secondo me aiuta, e mi sta concretamente aiutando. In primo luogo, distrae, e ogni distrazione dal pensiero costante di np è un toccasana. In secondo luogo, aiuta a recuperare l’autostima e rinforza la femminilità ferita. Dopo np, io ho fin da subito cercato di non precludermi altre possibilità, mi sono anche un po’ forzata ad accettare inviti da parte dell’altro sesso. Non perché io creda che chiodo scaccia chiodo troppo facilmente, non ci sono magie in questo senso, ma secondo me fa sempre bene. Il problema è però che abbiamo un cuore piuttosto serrato, chiuso in difesa, non troppo incline ad aprirsi. E che abbiamo anche una anestesia emotiva che non rende facile altri rapporti. Ma secondo me dobbiamo provare, aprirci ad altre opportunità. Io sto meglio anche attraverso questo. Non saranno gli uomini della mia vita, non sarò in grado di provare al momento emozioni troppo intense, ma piano piano, e con un po’ di fortuna, sempre senza forzarsi più di tanto, fa bene non rifiutare a priori questa idea.

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  23. Il problema è che mi sembrano tutti un po’ stronzi pure questi altri uomini… vabbè, questo è un altro problema però, almeno, lo stronzo cambia faccia! 😉

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  24. Cara Blume sono contento di sentire che ti sai ancora divertire e che non ti sei preclusa a priori nulla. Anche io nella mia testa vorrei avere quella prospettiva, ma so che me la concederò eventualmente solo quando sarò fuori di casa; e poi voglio vedere come mi sentirò e se sarò sufficientemente in grado di farlo o se sarò del tutto bloccato.
    Un abbraccio!

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  25. Un po’ bloccati si è, inutile nasconderlo… Purtroppo è così. Uno degli effetti è proprio questo, una generale anestesia emotiva… come se niente fosse sufficiente a rimpiazzare le scosse generate da np. Però io confido che aprirsi ad altro alla fine possa aiutare. Almeno, lo spero! 😉

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    1. Cara Blume, molto spesso le persone energeticamente depredate confondono il “sentirsi vivi” con la pulsione di morte generata da questi soggetti. Basta pensare a come si sta DOPO aver fatto sesso con loro, DOPO una discussione estenuante, DOPO essere triangolati, ridicolizzati o derisi per comprendere che ciò che ci manca è forse fare un po’ di conoscenza con il nostro lato “dark”, la nostra zona d’ombra. Ognuno di noi ha qualcosa che rinnega dentro di sé e che ci trascina verso queste “storie” finché non impariamo a volerci bene abbastanza da accettare le parti rinnegate affinché nessuno più se ne approfitti delle nostre vulnerabilità. Ci sentiamo come “anestetizzati” perché deleghiamo agli altri, alle loro critiche positive e negative, buona parte delle nostre emozioni più forti. Quando il potente riscontro su ciò che siamo – anche fatto di una maniera fuorviante e deturpata! – manca del tutto è che subentra l’anestesia, il senso di svuotamento.

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  26. Hai ragione, Claudileia, il DOPO è sempre pesantissimo, ed è proprio questo ‘dopo’ che mi ha spinta ad uscire dalla relazione. Un ‘dopo’ che diveniva sempre peggiore, di pari passo con i miei tentativi di farlo ragionare.
    Con il mio lato ‘dark’ ci sto facendo i conti, è dura ma non c’è altra via. Il punto nodale, almeno per me, è proprio questo, la necessità della validazione esterna per percepire il mio valore (o disvalore). Quindi, la tendenza a legarmi a certi soggetti che, per l’appunto, sono in grado di farmi provare forti emozioni e, con esse, la sensazione interna di valere tanto. Peccato che poi… beh, inutile ripeterlo, sappiamo bene come va.

    Comunque, ho deciso di fare tesoro di questa esperienza anche a livello professionale. Io sono una docente di liceo, questo anno che ho soprattutto il biennio, dove il programma è meno vincolato, ho deciso quindi di attivare un percorso di educazione emotiva per aiutare i ragazzi nell’alfabetizzazione emotiva, a riconoscere le proprie emozioni, a comprendere cosa le ha generate, a riconoscere e rispettare le emozioni altrui. In breve, stimolare l’empatia. Sono convinta che i disturbi di personalità siano in aumento, che la deprivazione emotiva sia uno degli aspetti più preoccupanti nelle società industriali avanzate del nostro tempo, di pari passo con la mancanza di valori certi (relativismo assoluto), con l’uso massiccio delle tecnologie informatiche che sono utilissime ma non aiutano la stimolazione emotiva, con il collasso del modello della famiglia tradizionale. Educare, non istruire.

    Un abbraccio a tutte/i, che un po’ di serenità sia con noi in questo giorno.

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    1. Tanta stima, Blume.
      Sempre ma ancora di più dopo l’espressione di questa tua intenzione.

      Quello che stanno diventando i ragazzi di oggi – e comunque anche noi adulti – a livello empatico, emozionale ecc è da brividi.
      Ieri mi sono trovata nella sala d’attesa di uno studio medico e tra le varie persone c’era un ragazzo autistico che cercava di parlare con qualcuno tra le persone. Bè… non ce n’è era una che lo guardasse: cellulare, cuffiette o semplicemente affari propri, disattenzione e – lasciatemelo dire – mancanza di sentimento alcuno. Mi sono seduta, gli ho sorriso, è arrivato vicino a me in un lampo e abbiamo iniziato a parlare. Non è stato faticoso, è stato piacevole. Non mi ha tolto tempo, mi ha regalato un momento. Un esempio che chi era seduto lì avrebbe prima di me potuto dare ai propri figli che erano con loro, un gesto di altruismo, ma anche solo una gentilezza. Il nulla.

      E allora a volte penso che questi 5 anni non sono stati buttati completamente perché se non avessi vissuto quello che ho vissuto scoprendo – con l’esperienza della sofferenza – che la vita è fatta di gesti, di attimi e che una parola gentile può fare la differenza… probabilmente sarei stata faccia al cellulare anche io.

      Mi sono buttata a capofitto anche io nell’aiutare gli altri: prima era un antidolorifico, ora è una ragione di vita perché oramai sono “gli altri” che aiutano me.
      Non ringrazio certo np per avermi fatto passare l’inferno, ma mi congratulo con me stessa per aver dato un senso a questi anni, a queste esperienze devastanti.

      Rinascere è anche questo e la forza dell’amore (vero) è più forte di quella del male, anche se a volte non ci sembra.

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    2. Grande Blume, meravigliosa iniziativa.
      Non hai un po’ paura di scoperchiare qualche vaso di Pandora familiare, magari poi difficile da gestire a livello di rapporto coi genitori?
      Non che debba essere un freno, ma magari potrebbe succedere.
      Certo che non si può non condividere l’iniziativa e nemmeno il pensiero che il relativismo assoluto sia imperante e dannosissimo. Io ne ho un esempio lampante, ma credo che tutti noi più o meno lo potremmo testimoniare; la mia np è fermamente convinta che qualsiasi cosa dica o faccia sia accettabile perchè lo dice o fai lei, e che gli altri, se vogliono condividere qualcosa con lei, non abbiamo altra strada che condividerla. E oltre a tutto qualsiasi cosa è variabile e intercambiabile col suo contrario, ovvero relativa in senso assoluto, a seconda delle circostanze e della convenienza.
      Nel mezzo della nostra crisi, mentre io tentavo disperatamente di salvare il nostro matrimonio, ricordo ancora un suo sms nel quale mi chiedeva di smetterla di parlare di valori, che a lei il concetto non interessava. Poi tutti ogni tanto, compreso il sottoscritto, possono incappare nell’incoerenza rispetto ai propri valori, perchè siamo umani e fallibili, ma ciò non può esimerci dall’averli i nostri bei valori di riferimento.
      Facci sapere che esito ha!
      Abbraccio!

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  27. Ciao Gianni, certo che c’è la possibilità che qualche problemino con la famiglia si crei, ma tanto guarda che si crea sempre, perché, anche senza fare educazione emozionale, come docente un occhio allo stato emotivo dei ragazzi ce l’ho, e si vedono a volte cose preoccupanti… Io poi sono un’insegnante di lettere, un po’ per formazione umanistica un po’ per vocazione un po’ per mio profilo psicologico un po’ perché ho parecchie ore nella stessa classe, le modalità relazionali dei ragazzi le osservo molto. Sai quante volte mi è capitato di notare qualcosa di anomalo, ho chiamato i genitori, non ti dico che casini: negazioni, drammi, proiezioni… molto peggio che i ragazzi! Ma ora vediamo che viene fuori con questo progetto.

    Cara Device, veramente singolare, e indice dei tempi, che un bambino autistico necessitasse di relazione e tutta la gente “normale” fosse invece concentrata sul proprio telefonino! C’è da chiedersi chi fosse il vero autistico… Roba da film tragicomico!!! Sì, la curiosità e la gentilezza verso gli altri è un antidoto. Se potessi scegliere, certo preferirei non aver incontrato np né lo auguro a nessuno, ma il contatto con il suo disturbo mi ha dato strumenti in più per comprendere me stessa e il mondo, e per dare maggiore importanza alla cura e all’attenzione verso gli altri. Questa è RESILIENZA, signori. Quella che np non hanno (possono solo negare e rimuovere l’urto, non assorbirlo, non trasformarlo in positività), ma noi sì, o almeno possiamo imparare ad esercitarla!

    Buona giornata a tutte/i!

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  28. Np e filosofia: quando sono messi con le spalle al muro di fronte alle loro contraddizioni, vale il relativismo assoluto. Quando sei tu che, di fronte alle loro certezze, dubiti di qualcosa, ecco che diventano paladini dei sistemi di pensiero totalizzanti. Tutto varia a seconda delle convenienze. Non c’è mai una discussione che valga realmente per l’oggetto di cui si sta discutendo, tutto è relazione, e relazione conflittuale di potere, le cose di cui si discute ne sono solo il pretesto.

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    1. Cara Blume sul relativismo io ne ho viste e sentite di tutti i colori, non posso che sottoscrivere. Enormi arrampicate sugli specchi con virtuosismi verbali quando era in difficoltà lei, grandi manifestazioni di principio e totale rigidità quando ero messo in difficoltà io.
      Come dici tu, non vale nemmeno la pena provarci. E immagino invece che più o meno tutti ci abbiamo pesantemente sbattuto la testa.
      Per mesi il suo must, che a quanto diceva stava portando a casa dalla sua terapia (?), è che non esiste una verità, ma ognuno ha la sua. Quindi a lei non frega niente che un suo comportamento sia ritenuto folle da un miliardo di persone meno una (di solito lei stessa), anzi se ne fa un vanto!
      Per il resto è sempre e solo un gioco di potere.
      Ritengo a questo punto una successo essere arrivato almeno a non discutere più di nulla.

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